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Solo oggi ci accorgiamo che finora non è stato possibile inserire commenti, in effetti ci sembravate un pò troppo pigri, considerato che siete in tanti a passare da queste parti. Ci scusiamo con tutti quelli che hanno provato a commentare nei mesi scorsi, e vi invitiamo a provarci di nuovo, ora si può!

martedì 4 marzo 2008

La genesi di un bullo

Io gli spacco il culo. Vorrei sapere chi lo da il lavoro a questi che per creare argomenti riconoscibili devono per forza mettere un nome a tutto.
Bullo.
Che parola di merda è. Chi avalla l’utilizzo di questi neologismi, portatemelo qui che gli fracasso la mascella con una testata in bocca. Anche la pagina di wikipedia dedicata al bullismo si autodefinisce un miscuglio di sociologia e luoghi comuni e persino il fottuto correttore automatico del word del continua a segnarmi in rosso la parola come se fosse un errore di ortografia o una qualsiasi delle parolacce che ho scritto.

Ok, ho malmenato uno che non voleva darmi il suo KitKat nell’intervallo: al grido di spezza con kit kat ho sentito la sua tibia cedere sotto le mie mani. Mi sono nascosto nell’armadietto con su la maschera di Dario Fo e quando la professoressa di italiano lo ha aperto ho accennato “Mistero buffo” ed è morta d’infarto. Ho buttato giù il muro che ci divideva dall’altra classe usando la cattedra come ariete, e l’ho riempita di panini ai quali davo un morso prima di lanciarli a mò di bomba a mano:l’ho fatto per 40 minuti.
Ho sbriciolato il gesso, l’ho messo sul banco di Mariasole e quando lei si è seduta gliel’ho soffiato in faccia. D’accordo, Mariasole è allergica al gesso: ho filmato il suo shock anafilattico e l’ho messo su yotube con il titolo: “Esilarante!Ragazza muore in classe”.
Ho filmato le mie compagne di classe mentre piangevano ascoltando La Cura di Battiato e ho messo il video su youtube ho cambiato l’audio con Blue degli Eiffel 65, e l’ho intitolato “Ragazze down piangono senza motivo” .
Ho diffuso il soprannome The Hole dopo averlo affibiato a quello della 2d che è nato con una grave malformazione, la pelle delle natiche non seguiva la curva del muscolo e gli chiudeva tutto. Ho inventato “La catasta” un capolavoro di architettura che prevede una piramide di 34 banchi poggiati su una superficie di 3 metri quadri: il bello della catasta è farla cadere, il boato che ne scaturisce mi dà un brivido che provo solo in poche altre occasioni:
Quando piscio nella Lemon Soda del professore di Chimica
Quando riempio di bucce di mandarino uno zaino
Quando incollo la tuta di qualcuno al muro e ci disegno la testa e le mani
Quando ritaglio le facce dai santini e le attacco sui giornaletti porno
Quando apro una busta di processionarie in classe
Quando inneggio alla Jihad durante l’ora di religione

È tutto vero, ed è anche vero che fino a qualche mese fa ero un ragazzo, come dite voi, tranquillo.
Ma dovete credermi, non potete tenermi rinchiuso qui, non sono pazzo. Vi prego, vi ho detto esattamente come è andata, mi ha detto lei di fare tutto questo. Lo ricordo ancora perfettamente, come fosse successo ieri: era un pomeriggio di ottobre, ed ero in camera mia, avevo finito i miei compiti e stavo leggendo un saggio sulla storia della coltivazione del baco da seta nel VI secolo d.C., avevo appena finito di copiare in bella gli appunti, mi accingevo a riordinare in ordine cronologico tutti i miei dischi di musica classica, quando a un certo punto mi giro e c’è lei.
Due piccole papere gialle identiche con degli occhiali da sole. Non vedo i loro occhi, ma sento il loro sguardo su ogni centimetro della mia pelle improvvisamente bagnata da un sudore di ghiaccio.
Vorrei dire qualcosa, ma l’aria che spingo su non ottiene la complicità delle corde vocali, ed emetto qualcosa tipo “hhhhhh”. Resto muto e immobile qualche secondo, il cuore rimane nel petto solo perché ho una gabbia toracica forte, ma ha smesso di pompare sangue, e diffonde panico fino all’ultimo capillare. Un attimo di mille anni, un’eternità di un secondo, poi quei piccoli becchi si aprono e parlano all’unisono. “Vieni a giocare con noi. I libri non ti servono più. Abbiamo del lavoro per te”

giovedì 7 febbraio 2008

La profezia

Ricchi premi e cotillons per chi decifra il codice quacko.

Parlo e mangia le rape?
.
.
.
ebefrenico torna il nano malefico e
naturale, immerso nei suoi si, forse e non
oligarchico s’appropria del suo
ridondante, finto rotweiler
maledice e seduce la bestia di nome Clem
esaustivo, ne fa un sol boccone

pirotecnica stola di incantevoli burp
animerà la canina fase digestiva
pulirassi la viscera in progressivi step
estasiato il nano vuoterà il sù ventre
ricamando con l’acidi l’ex rotweiler
astianatte al confronto ebbe fortuna

gaudentissima espulsione come pompa Erg
istigando prolissa la magia dei gettiti
assordante, del cane dal nano l’uscita
liquefatto alla stregua di un gel
l’invidiabile nano ha segnato il suo gol
assieme sfamato e libero della minaccia
.
.
.
Paragonerai le Palme.

lunedì 7 gennaio 2008

La lettera a Babbo Natale di Matteo Vandalismi

Oh Quacko, su invito dell’umano ridotto Matteo Vandalismi, creatura di cui ti ho già riferito nel rapporto precedente, ho tradotto in simbologia alfabetica terrestre le sue richieste. Per motivi a me tuttora ignoti la sua comunicazione è fluente e comprensibile alle mie orecchie, ma non a quelle degli umani, per questo ho tradotto con il lessico di cui dispongo i suoi pensieri. La sua missiva è indirizzata ad un entità venerata dalla casta dei non estesi, meglio conosciuta sulla terra come Babbo Natale. Mi riprometto di decodificare ed analizzare la struttura religiosa collegata allo stesso, gli unici elementi certi finora sono due: egli dispone del potere di esaudire i desideri della casta dominante (“bambini”) e ha instaurato un rapporto simbiotico con una seconda figura di culto meglio conosciuta come “Befana”. Segue la mia traduzione delle richieste del Vandalismi.


Carissimo Vegliardo, che munifico distribuisci ludica gioia nel giorno del genetliaco di Nostro Signore Gesù, chi ti scrive è un umile e indegno ammiratore della tua sfarzosa e magica opera.
Per sfuggire all’azzardo di intraprendere un angusto sentiero che, per la sua lungaggine, lambisce l’abissale precipizio del tedio e della ridondanza, cercherò di esprimermi con laconica favella.
Sono ben consapevole che la mia condotta è ben lungi dal poter esser da te anche solo considerata tra il novero delle più diligenti e meritevoli di encomio. Sei senz’altro nella posizione di giudicare il mio operato come biasimevole e indegno di qualsivoglia forma di soddisfazione. Ne avresti ben donde. Purtuttavia, credimi o celeberrimo: nulla quaestio sulle mie nitide intenzioni e sulla buona fede che ha guidato le mie azioni.
In virtù della nettezza d’animo che senza falsa modestia ho anzi declamato e dell’imperitura fama che segue le tue gesta, potrei senza angoscia affidarmi alla tua magnificenza e accettare l’omaggio natalizio che il tuo cuor gentile meglio crede possa convenire ad una legittima gratificazione del mio modus operandi nel corso dell’anno.
Ciò nonostante, la rigida forma mentis che rende obsoleti i comportamenti degli individui che mi hanno generato, mutuata dalla staticità di una società ottusa che non è in grado di sorprendere, esige l’esplicitazione da parte mia di una non generica ambizione.
Non sarò dunque ai tuoi occhi meschino, se oserò affidare a questa missiva un timido desiderio, che, considerata la tua sconfinata e proverbiale onnipotenza, non dovrebbe essere arduo da realizzare.
Non anelo a volgari oggetti materiali, non ti lusingo per la brama di policromatici balocchi, la mia unica invocazione si concretizza nell’impeto di libertà che dall’alba dell’essere accompagna l’individuo.
Ti prego, infrangi le catene che mi vincolano a coloro che mi trasferirono la vita, spezza il canapo biologico del sangue che mi tiene legato ad essi, muta in aride le mie radici, fa ch’ io non sia più frutto di quel seme, percorri a ritroso il cammino della discendenza e rendi nebulosa la mia genesi.
Oh Vegliardo, rendi avverabili le circostanze che mi possano concedere di proseguire il mio cammino al fianco di una ben più degna compagna: ne ho individuata una alle cui orecchie la mia favella non è disimpegnato blaterare ma giudizio nitido sulle cose del mondo, ella sola m’intende, e con me raffronta il suo pensare. Io ti imploro: non privarmi dell’incomparabile conquista del logos, lasciami fuggire con l’Enorme Papera Gialla.

Mi rimetto al tuo severo ma equanime giudizio

Con intramontabile entusiasmo e vivido rispetto.

Matteo Vandalismi

mercoledì 12 dicembre 2007

La drammatica segnalazione di Leoluca Vandalismi

Mi ucciderà.
Mi assassinerà, mi ammazzerà, mi massacrerà, mi fredderà, mi sopprimerà, mi truciderà, mi annienterà, mi distruggerà, mi eliminerà. In un modo o nell’altro lo farà. Strozzandomi, strangolandomi, fucilandomi, impiccandomi, decapitandomi, ghigliottinandomi, facendomi a pezzettini piccoli o in pezzi grandi da dare in pasto ai maiali di Zio Giacinto, oppure cremandomi nel forno a microonde per poi sparpagliare le mie ceneri nel Canal Grande.
No, non farà nulla di tutto questo, almeno non prima di avermi adeguatamente torturato. Non mi crederà mai. Per farmi parlare, per scoprire la verità che secondo lei io non voglio dirle, mi sottoporrà ai più atroci supplizi, mi martorierà il corpo in più parti, lo strazierà con i più crudeli strumenti di dolore, mi sevizierà, se necessario mi farà violentare dall’alano di Zio Giacinto (un uomo che ha l’aspetto di una creatura che ha l’aspetto di un uomo) Probabilmente mi costringerà ad ascoltare “Perdono” di Tiziano Ferro nella rara studio vesion impreziosita dal feauturing di Gigi D’Alessio.

“Matteo”
“Dov’è Matteo”
“Non lo so, cara”
“Ah ah. Dimmi dov’è”
“…”
“Leoluca dimmelo!”
Ma io non le posso raccontare quello che è successo, o forse quello che io credo sia successo, forse non è successo, forse è un incubo, ahi! Cazzo questi stramaledetti spilli fanno male anche in sogno. Ma non è un sogno. Non capisco. Lei è andata a comprare dei regali di Natale con sua madre.
“Non ti preoccupare, vai pure, stiamo un po’ tra uomini oggi pomeriggio, eh Matteo!”.
“Si si,fallo dormire e appena si sveglia fagli il bagnetto, mettigli nella vasca i giochini che gli piacciono tanto, tipo la nave dei pirati, ne va matto. Ah, poi fagli bere un po’ di latte, mi raccomando con i biscottini sbriciolati piccoli piccoli, e controlla che non sia troppo caldo, diamine l’altra volta una goccia caduta sulla tovaglia ha fatto un buco bruciacchiato che non vedevo da quando…oh insomma stai attento!”
E allora è uscita, l’ho preso, l’ho messo un po’ davanti alla TV che c’erano i teletubbies, che secondo me gli piacciono un sacco, ho cercato di farlo ridere con qualche verso: e dududu, e titititi, e chi è il bambolotto di papà, ma mi risponde solo con delle smorfie che per assurdo sembrano di disapprovazione. Boh, saranno movimenti involontari dei muscoli del viso.
Ora a nanna. Solo venti minuti. Cosa c’era adesso? Bagnetto.
Riempio la vasca, acqua tiepida, bagnoschiuma, nave dei pirati. “Aspettami qui Matteo, vado a prendere lo scaldino. Ma dove l’ha messo, ah eccolo”
Torno in bagno. Matteo non c’è più. Nella vasca, insieme ai pirati, centinaia di paperelle gialle di gomma, sembra un’invasione.
Squilla il telefono, corro a rispondere.
Silenzio. Un silenzio che parla.
Dall’altra parte sanno.
Un grido straziante vomitato direttamente dal mio stomaco: “Cosa avete fatto a Matteo eh? Chi siete, quanti soldi volete, merde! Giuro che se lo toccate ve ne pentirete per tutta la vita, bastardi…dov’è mio figliooooooooooooo?”
“QUA”

mercoledì 5 dicembre 2007

Rapporto #003



Oh Quacko,
dopo più di una unità temporale che gli individui stanziali sulla Terra chiamano “mese”, inizio a prendere confidenza con gli stessi. Ho provato ad instaurare alcune forme di conversazione con i terrestri, ma solo in una piccola percentuale l’esito è stato positivo. Le uniche forme di vita che hanno dato feedback sono state quelle di dimensioni ridotte, il loro status all’interno della società viene denominato “bambini”. La loro statura oscilla tra i 50 e 100 delle unità spaziali denominate “centimetri”, ed ho motivo di pensare che la loro posizione sociale sia ai vertici della collettività. Credo di aver decodificato le gerarchie, che sono organizzate in questo modo: il livello di potere è inversamente proporzionale alla statura, i più corti posseggono un dominio quasi totale sull’esistenza della categoria sociale denominata “adulti”. Questi ultimi sono completamente assoggettati ai bambini, che esercitano il loro potere attraverso onde sonore che gli adulti non sembrano in grado di sopportare; per questo riducono la propria esistenza ad una funzione di stampo schiavistico, le cui mansioni vanno dalla pulizia personale, all’alimentazione, sino all’intrattenimento. Se vogliamo conquistare questo pianeta dobbiamo comprendere le dinamiche sottese a questa forma di dominazione. Oltre a tutto questo, credo che i bambini siano la forma di vita più evoluta sul territorio in quanto sono stati gli unici a rispondere ai miei tentativi di comunicazione. In particolare ho concentrato i miei sforzi su Matteo, di centimetri 66. Segue il resoconto della nostra prima conversazione.
“Ciao tu sei un altro giocattolo?”
“No, sono un’Enorme Papera Gialla, inviata sulla terra dal Dio Quacko per approfondire la conoscenza sui vostri usi”
“Capisco, io mi chiamo Matteo, e non sai quanto sia bello poter finalmente parlare con qualcuno che non limita la sua sintassi a suoni incomprensibili”
“Spiegati meglio”
“Guarda sono davvero esausto. Mio padre, mia madre, i miei nonni, ma anche semplici passanti, non sono in grado di comunicare. Mi dicono cose sconnesse del tipo “dudududu, e tititititi, e chi è il più bel bambolotto?”. Io provo a fargli capire che possono parlare normalmente, ma niente. E’ davvero frustrante”
“Mi spiace, e ti capisco. Come non riescono a sentire le tue parole, non riescono a vedere la mia presenza, se non per brevi lassi di tempo. Ho provato a manifestarmi in diversi contesti, ma il contatto visivo è stato sempre fulmineo”
“Forse non siamo così diversi, mi piaci, sei un bel tipo. Perché non andiamo a farci un latte giù al bar? Dovrei fare il bagnetto ma non ho voglia, mi lavano in continuazione.”
“Non so cosa sia un latte, ma ti accompagno volentieri. Però non vorrei far preoccupare tuo padre, magari gli lascio degli elementi visivi per far capire che sei con me.”
“Fai pure”.
Fine del rapporto.

giovedì 1 novembre 2007

La segnalazione di Manrico Giubbe

Attesa. Impaziente, logorante, ansiosa. Lava rovente che penetra ogni spazio, avvolge e scioglie tutto ciò che abita il cervello per prendervi posto e solidificarsi creando un unico, granitico egemone e dittatoriale blocco di pensieri: il derby.

Il derby è una partita come le altre? Il cazzo. Il derby non è una partita, è uno stato mentale che dura minimo 2 settimane. Il pre è comune ad entrambi i fronti, il post è condotto solo da uno, e sò cazzi per chi perde. Il post, in caso di esiti clamorosi della disputa, può estendersi oltre i sette giorni ordinari. Anche a tempo indeterminato. Anche per sempre.

Da ragazzini giocavamo col supersantos, porte regolamentari con i giubbotti come palo e traversa empirica, cioè fino a dove arriva lo sputo del portiere: c’era gente che si sbavava addosso per non alzare troppo la traversa. Sfida uno contro uno con un terzo in porta per stabilire con criteri scientifici chi fosse il più forte. Quando si riusciva a far gol, esultanza alla maniera del proprio campione preferito e con la voce rauca finte telecronache di un Sandro Ciotti in visibilio per la prodezza. I più abili azzardavano un Pizzul.
Nella settimana precedente il derby il furore agonistico si moltiplicava. Stabilire chi fosse il migliore diveniva una necessità. Sfide a raffica.
Ricordo ancora le lucide disamine pre-derby di Davidone, che, con un foglio lercio in mano mi fa: “non ti preoccupare, guarda le formazioni a confronto: per ogni ruolo il nostro è più forte del loro” Vedendo la perplessità che esprimevo probabilmente con ogni muscolo della faccia, suggellava la sua teoria sentenziando: “ma perché secondo te se Fonseca si fa l’uno contro uno nel cortile del palazzo contro Di Matteo non vince?”
“lo distrugge”
“e allora?”
Davidone ne sapeva: li aprimmo come una pesca.

Tornando a questo derby. In ufficio non si è parlato d’altro per tutta la settimana. I miei figli si disperavano perchè mia moglie escludeva la possibilità che potessero saltare scuola lunedì, in caso di sconfitta. I ragazzini sanno essere molto cattivi quando prendono per il culo. Tuttavia sapevano che, nel caso, li avrei portati con me di nascosto, al parco: perché anche i grandi sanno essere molto cattivi quando prendono per il culo.
Ma la mia attesa era serena, ero tranquillo. Io ero sicuro che avremmo vinto questo anomalo derby infrasettimanale. Mi è bastato dare uno sguardo alla pagina sportiva sulla Repubblica. Formazioni. Danielino De Rossi da una parte e Mudingay dall’altra. Uno contro uno nel cortile del palazzo, con Buffon in porta. Non c’è storia: li apriamo come una pesca.

Ufficio: 16.59 ressa ai tornelli, 17.01 balle di fieno. Traffico inverosimile. Nell’ingorgo sento un ragazzino che piange in macchina e il padre che urla: “nun ce la faremo mai! Ma chi m’ha fatto fa de venitte appià! Ma vedi se uno deve annà ar catechismo quando c’è er derby!” Mancavano 3 ore.

20.03 casa mia, caos. Ilaria D’amico ironizza sulla Roma e si guadagna un “Puttana” collettivo, ci siamo…audio in stereofonia, Caressa epico, le sbeffeggianti parole dei cori sembrano essere intonate da ottantaduemilaquattrocentocinquantasei invasati ammassati nel mio bagno con la porta aperta. Bellissima e incomprensibile la nostra coreografia, con quella papera gialla, forse doveva essercene una rossa accanto, però è bella, quasi onirica, sembra uscita da un film di Tim Burton ed è fatta proprio bene, cioè ha anche un’espressione facciale, a dirla tutta è un po’ inquietante perché…
…sticazzi di Tim Burton, ha segnato Rocchi. Ecco io lo sapevo: un gol dopo 10 minuti, ci spaccano, che palle. C’è poco da fare, sono loro la prima squadra della capitale.

domenica 28 ottobre 2007

La segnalazione di Bruno Garella

07.03 ovvero l’illusione del riposo. quando punto la sveglia lo so che quei tre minuti non cambieranno niente, ma non riesco a non regalarmeli. devo alzarmi. Fuori fa freddo. Un minuto. No, che mi riaddormento. Inspiro, espiro sotto le coperte, l’ultimo soffio caldo sul corpo: ready, steady, go.

Piastrelle fredde calzini bagno pipì bidet ascelle corridoio cucina caffettiera gas latte gas gocciole corridoio bagno denti mutande camera calzoni maglietta camicia giacca cravatta cappotto corridoio ingresso cazzo corridoio camera portafoglio corridoio ingresso cazzo corridoio camera cellulare corridoio ingresso porcalatroia corridoio camera orologio corridoio ingressochiavi porta chiavi:7.59 ascensore occupato cazzo scale portoncino cammino semaforo bardelleguardie cammino sinistra nobiliore cammino scuola mamme papà bambini zaini trolley cammino donboscoinristrutturazione attraverso ohattento viaAMPIOflaviano(ma che è un nome ampio?) camminopiuveloce cazzoètardi soldi tabaccaio duebigliettigrazie Giulioagricola(penso giulius the farmer) sorrido oblitero aproilgiornale leggo furiocamillo ariaviziata leggo leggo manzoni(penso big beefs) termini paperagialla cambiometro leggo piramide leggo leggo leggo eurfermi cazzoèlamia scendo cammino mcdonald adesso un bigmacnoncistarebbemale porco badge 8.59

Un’ora esatta, è come se un uomo appositamente pagato avesse studiato questo itinerario con un cazzo di cronometro. Basta ripetere tutte le mattine le stesse azion,eppure stamattina …c’è un' immagine inconsueta che continua ad albergare nella mia testa, un particolare che non torna…..avrò mangiato troppe gocciole nel latte… (si, perché quei biscotti contengono senz’altro piccole dosi di sostanze stupefacenti, quindi non riesci a fermarti, ne mangi troppi e ti vengono le allucinazioni. Sì, deve essere così, forse la Pavesi è una branca della Cia, o dell Fbi, è così, infatti anche l’ultima volta che ho mangiato i pavesini, no vabbè non è successo niente però…) ma giurerei di aver visto…ma no, io sono stressato, ma non è stress da lavoro, no. Sono stressato dal bombardamento che subisco da parte delle pubblicità…quelle che si ripetono sempre negli stessi orari, tipo Fiona May che fa mangiare la “Fetta al latte” a Larissa, una merenda “bela fresca” che mi ha perseguitato per tutta l’estate: “e chi la ferma adesso?” Che Dio custodisca le mie risposte a quella domanda.
E allora si: io quella cosa gialla devo averla vista in una pubblicità, mentre facevo colazione, e i biscotti allucinogeni hanno preso quel fotogramma e l’hanno piazzato in modalità random all’interno della mia solita, programmata, monotona, prevedibile, cronometrata mattina…

Segnalazione di Bruno Garella, impiegato